L’intervista di Harvard Business Review sul progetto di trasferimento tecnologico MegaRide

Partiamo dalle cose belle che non guasta mai. Lo scorso 15 ottobre MegaRide ha ottenuto una Menzione speciale per la categoria start-up nell’ambito del Premio Eccellenze d’Impresa. Poco prima, al Tire Technology International 2018 ad Hannover, ha vinto il premio come miglior fornitore internazionale di tecnologie ed innovazione per lo sviluppo di pneumatici. Ci spiega cosa c’è dietro tutto questo successo? Esattamente in cosa consiste la vostra idea innovativa?

La chiave di tutto è nell’immenso potenziale della ricerca scientifica. Portare avanti un progetto imprenditoriale, quotidianamente alimentato dai risultati e dagli sviluppi delle attività che conduciamo con il team universitario, porta due benefici fondamentali: il vantaggio competitivo legato all’innovazione tecnologica, fondamentale per far sì che una microimpresa non venga sopraffatta dai colossi, viene costantemente ad aggiornarsi grazie ad un “continuous improvement” intrinseco della ricerca stessa; inoltre, in tempi nei quali l’innovazione “generalista” è diventata del tutto inattuabile, partire con un focus estremo su specifici temi consente perfino ad una start-up di poter dire la propria in settori fortemente competitivi ed in rapida evoluzione.

La sfida sta poi nel non fossilizzarsi nella nicchia di partenza, facendo sì che la tecnologia iniziale diventi abilitante per successivi pivot di più ampio respiro e mercato. Nello specifico, siamo in grado di valutare in maniera estremamente precisa ed efficiente aderenza, temperatura, usura e comportamento degli pneumatici. Questo ci ha consentito di instaurare un profondo dialogo con chi li sviluppa e con chi deve usarli in contesti racing, ma soprattutto ha fatto da preludio allo sviluppo di tecnologie che saranno essenziali nei futuri contesti di mobilità smart, interconnessa ed autonoma.

MegaRide vanta tra clienti e partner Ducati Corse in motoGP, AUDI Sport in FormulaE e nel DTM, Pirelli, Prometeon, Maserati e Good Year. Stiamo parlando di colossi dei settori automotive e motorsport. Come si integra il vostro modello di business con quello di questi big player?

Strutturare un modello di business efficace per una così variegata platea di potenziali utenti non è stato banale. Nell’ambito delle attività con costruttori di auto e pneumatici, abbiamo messo a punto strumenti software che ci consentissero di seguirli passo dopo passo, dalle piste dove condurre test su strada, fino alle linee di produzione, abilitando lo sviluppo di nuovi prototipi con costi e tempistiche drasticamente ridotti grazie a simulazioni fisiche di fenomeni estremamente complessi. La scalabilità è arrivata creando poi software “plug&play” che si inserissero senza difficoltà all’interno delle architetture di simulazione dei clienti. In questo contesto è stato fondamentale puntare su alcune partnership strategiche, vitali per una start-up. In particolare, ad esempio, la collaborazione con un’eccellenza internazionale, a matrice italiana, come l’azienda VI-grade, diventata un riferimento globale nelle simulazioni di guida, è stata essenziale. Il terzo step nello strutturare un modello che trasli progressivamente dal B2B al B2C è attualmente in corso, e ci porterà a sviluppare software da inserire a bordo delle auto che dialogheranno tra loro e con l’infrastruttura.

Allora Dovizioso vince grazie a voi (questa è personale da appassionata)?!

[Ride] Su questo, causa accordi di riservatezza ed esclusiva, non posso esprimermi in dettaglio. Sappiamo che nei contesti motorsport nei quali i nostri prodotti vengono richiesti con un vincolo di esclusiva, se ne trae un valore aggiunto tale da richiedere che i competitor non possano fruirne… Quindi credo proprio che il vantaggio che attualmente i nostri partner ne traggono sia decisamente non trascurabile!

Qual è il legame tra il settore corse/motorsport e quello della smart mobility? Ovvero in che modo la vostra proposta intende rivoluzionare il settore della mobilità più in generale e quali prospettive vede per il futuro?

Il motorsport, da tradizione, è sempre stato pioniere di innovazione nel settore della mobilità. La grande rivoluzione alla quale stiamo assistendo, che ci porterà verso trasporti autonomi e sempre più gestiti da algoritmi software, accentua ulteriormente questa tendenza. La Formula 1 e la Formula E sono già preludio di guida ibrida ed elettrica, e l’analisi dei veicoli con tecnologie di machine learning e sensor fusion precede di poco l’implementazione di esse sulle auto di tutti i giorni.

La nostra esperienza ci ha portato a sviluppare metodologie real-time in grado di valutare l’aderenza tra i veicoli ed il suolo, con la finalità di massimizzare le prestazioni in pista. Ma, riflettiamoci, cosa succederà nel momento in cui tale informazione potrà essere condivisa ed alla portata di tutti? Monitoraggio preventivo dell’infrastruttura stradale, premi assicurativi customizzati ed incremento delle prestazioni dei sistemi di sicurezza di bordo sono alcuni degli scenari di tangibile prospettiva, e noi proviamo ad essere già lì con un piede e mezzo, grazie al motorsport.

Importante sottolineare il carattere accademico di MegaRide e il proficuo ecosistema territoriale in cui si è sviluppata. Secondo il report nazionale della Camere di Commercio aggiornato al secondo trimestre 2018 la Campania è la prima regione del Mezzogiorno per numero di start- up e la quinta a livello nazionale, la provincia di Napoli arriva quarta tra le provincie italiane con più start-up. Non a caso Apple, seguita da Cisco e Deloitte, ha aperto sua prima academy per sviluppatori d’Europa nel campus dell’Università partenopea Federico II. Come si è sviluppata la vostra idea imprenditoriale? Qual è l’importanza di essere “vicini ai centri caldi del talento” (Kerr, HBR Italia n.10/2018) e quanto ha influito respirare l’aria innovativa di questa Silicon Valley tutta italiana?

Riteniamo assolutamente cruciale il fatto di esserci trovati a sviluppare un progetto come MegaRide, sentendoci nel posto giusto, al momento giusto. La nostra avventura è iniziata davvero poco tempo fa, e senza alcun background imprenditoriale. Senza il supporto degli incubatori (nel nostro caso, di Campania New Steel, insediato a Città della Scienza), dell’ecosistema regionale, fervido di iniziative e di vivo interesse ai temi della start-up economy, e di una crescente sensibilità dei dipartimenti universitari verso operazioni di trasferimento tecnologico, probabilmente non saremmo dove siamo oggi.

La contaminazione, non retorica, ma operativa, tangibile, sorretta dagli investimenti dei grandi gruppi industriali che hanno creduto nel territorio, ha una ricaduta diretta nel creare un dialogo quotidiano mai stagnante, con players di estrazione eterogenea e con la possibilità di attingere ad un bacino di talenti, direttamente dalla fonte, come è capitato anche a noi. Come le start-up stesse, l’ecosistema dell’innovazione locale ha vissuto una fase “early-stage”, nella quale si sono efficacemente creati e consolidati strutture, processi e network. Ci affacciamo ad una seconda fase, probabilmente di maggiore consapevolezza, nella quale per MegaRide e per l’intero ecosistema sarà fondamentale incanalare gli sforzi in attività di marketing e business development, per interfacciarsi con le spalle larghe alle dinamiche di un mercato in costante evoluzione tecnologica e finanziaria.

LA START-UP: MEGARIDE

MegaRide, spin-off accademico dell’Università Federico II, incubato in Campania New Steel, è una Testing e Software House per i settori motorsport e smart mobility. La start-up, fondata da Flavio Farroni, Aleksandr Sakhnevych e Francesco Timpone, sviluppa tecnologie innovative in grado di ridurre i tempi di sviluppo degli pneumatici, di simularne i complessi fenomeni fisici legati al loro utilizzo e di integrare il processo di progettazione dei veicoli con metodologie fisiche e predittive, basate sulla fedele riproduzione del comportamento dinamico della vettura in un ambiente virtuale. Il nome della società deriva dall’omonima isola del Golfo di Napoli, luogo di culto tra i più sacri dell’antichità campana, che letto in inglese acquisisce un significato ancor più pregnante.